15 marzo 2024, a cura di Francesco Rigodanza
Day 2 - Sjange– Chame. 42 km 2300 d+
“Gli amici non ti lasciano fare le cose stupide da solo”
Alessio nel suo miglior discorso di convincimento pre-Nepal
Si riparte. Sveglia alle sette di mattina, prima ripreparazione zaino.
“Hey ma perché oggi non ci sta più niente?”
Recupero calorie, abuso di the allo zenzero, ultimi sguardi alla cartina e si va. Destinazione i 2700 metri di altezza di Chame, all’imbocco della valle nord dell’Annapurna, là dove si immaginano di vedere davvero queste montagne Himalayane.
È il primo giorno integrale. Quello dove si starà fuori quasi tutto il giorno. È il giorno più rischioso, qua si decide tanto del resto del cammino. Perché l’entusiasmo e la freschezza facilmente inducono a esagerare, a fare un pochino di più, a prendersi avanti o ad andare un po’ più veloce. Ma quando la faccenda diventa lunga, quando i giorni si accumulano uno dopo l’altro, ogni “troppo” si paga caro. Specie se si fanno i calcoli pensando ai ritmi durante i giri leggeri intorno casa. Molto meglio fare un po’ meno. Prendersi cura di sé.
Essendo trail runner competitivi, Alessio, Camilla, Francesco, Michele e Roberto sono i peggior candidati per questa gestione parsimoniosa delle proprie forze. Roberto vuole correre, Michele ha troppa energia, Francesco se vede qualcuno davanti non capisce più niente, Camilla vuole mostrare di essere all’altezza del gruppo. E Alessio, che si sente il coordinatore si è caricato, a insaputa del gruppo, la responsabilità del successo del trekking, e gli amici mai lo hanno visto così determinato a raggiungere un obiettivo. Gli altri lo sentono che per Alessio il raggiungimento della destinazione ha un significato in più. Non lo dice, ma si capisce. Come si percepisce benissimo l’ansia. Ma gli amici, in quanto amici, lo notano e non fanno che rimarcaglielo con sane prese in giro.
I primi chilometri sono un allegro saliscendi tra i paesini che costeggiano la valle, alcuni più grandi, con qualche casa e negozio più serio, altri molto più minimalisti. Tutti colorati, in particolare di rosa, azzurro, giallo e rosso. Piacciono i colori accessi in Nepal. Ed è bello così. Ma lentamente la vegetazione si fa meno abbondante e gli insediamenti più rari. Solo i ponti tibetani sono sempre tanti.
Oggi quasi venti. Il ritmo di viaggio rimane allegro, con voglia di macinare chilometri, si corre appena la strada spiana, ci si ferma poco, si aspetta niente. C’è tanta voglia, forse troppa, così al 20° km di giornata Alessio invoca una pausa. Stanno bevendo troppo poco, e non stanno mangiando niente. Molto male.
Sosta tattica in un bar. Dove i bar qua sono delle case private dove si aggiunge un tavolo in più all’interno del proprio soggiorno e si offre quel che si ha, poca scelta, molta accoglienza, tanta gentilezza. Le cose a disposizione sono poche e sempre quelle, a volte con qualche piacevole sorpresa: Coca-Cola, Digestive, the allo zenzero, Oreo. Abbastanza per fare scorta di calorie fino a sera. O almeno fino alla prossima crisi. Perché manca ancora metà strada.
Sono partiti alle otto di mattina e le prime quattro ore sono filate lisce sotto un caldo sole invernale, da maglietta e pantaloncini. Ma come il sole si fa alto, giusto nel cuore della giornata, a scuotere la valli si alza un vento freddo che scende dalle cime che esaurisce la voglia di sosta. E le difficoltà aumentano. Francesco oggi sembra essersi magicamente ripreso dalla depressione atletica del giorno precedente. Oggi sono più in difficoltà Michele e Camilla. Michele sembra lottare con la sua testa, poco propensa a stare tutte quelle ore sulle gambe ad un ritmo che regala poca adrenalina. Camilla invece sta cercando di nascondere in tutti i modi quanto si sente più stanca degli altri in salita.
Camilla è l’unica donna del gruppo e nonostante sia stata accolta immediatamente come compagna da sempre, un po’ si sente in difetto. Camilla è venuta in Nepal perché qualche anno fa ha deciso che prima o poi vorrebbe andare in alcuni posti molto belli, e questi posti sarebbero Nuova Zelanda, Patagonia e Nepal. Quindi c’è da spuntare la lista. Si è autoinvitata a ottobre, non ci ha pensato un secondo, ha scoperto che Alessio aveva in programma un viaggio laggiù, lo ha chiamato e gli ha detto “Posso?”. Semplice, diretto, efficace. Michele, Francesco, Roberto e Alessio hanno già fatto tanti viaggi e vacanze assieme, appartamenti ed esperienze condivise in un’atmosfera nostalgica di ritorno a momenti adolescenziali, e da fuori, da quello che Camilla poteva filtrare dai contenuti social, sembrava anche che si divertissero davvero tanto. Camilla in Nepal voleva vedere le montagne belle ma con la compagnia giusta, quella dove la risata è spontanea e prioritaria rispetto alla performance.
Però, poco dopo essersi autoinvitata, Camilla si è accorta che quella compagnia di uomini a cui si sta aggregando, è una compagnia di gente competitiva e un filo atletica. Ha paura di essere un peso, di non essere all’altezza, costringerli a farli aspettare o, peggio, rimanere da sola tra le valli sperdute himalayane.
Si è preparata davvero per questo. Forse è stata anche l’unica dei cinque. Eppure, oggi sta facendo un po’ di fatica, e sta facendo il doppio della fatica per fingere di non fare fatica. Ma un po’ si vede. È pur sempre la settima ora di una tappa presa con il solito eccessivo entusiasmo. Tiene duro. Per fortuna arriva una pausa.
Sono ormai arrivati i 2700 metri di quota. La foresta pluviale ha perso densità, compaiono i primi pini, il ghiaccio lungo la strada. È calato il vento, ma è cambiata la temperatura, il sole non scalda più. È tempo di abbandonare la divisa estiva per indossare un po’ di quei vestiti caldi che tanto spazio occupano nello zaino.
Guanti, termica, antivento. E finalmente una dignitosa pausa cibo. Basterebbe fermarsi un po’ di più, ricordarsi di mangiare e bere, per aumentare le chance di riuscita del 50%, ma poi toglierebbe suspense alla sfida. Ultimi chilometri per arrivare a Chame, la meta del giorno, un altro ponte tibetano, due maledetti gradoni a risalire, una discesa in odiabile cemento, e tappa finita, c’è solo da scegliere l’alloggio del giorno. La scelta cade su quello che sembra buttare fuori il fumo di una stufa accesa. Hotel Yeti. Letti veri, bagno in camera (ma il bagno non ha vetri nelle finestre!), abbondanti coperte. Sono solo ventisette ore che camminano ma già bastano piccole cose per cambiare l’umore del gruppo.
È il primo vero giorno, il primo giorno passato interamente per strada. Qualcuno è stanco, qualcuno molto euforico, ma sembra andare tutto bene. I paini sono rispettati e la chimica del gruppo è ben salda. Tutto va bene. E quando tutto va bene… poi passa.
Day 3 - Chame– Manang, 35 km 1300 d+
“Non prendere freddo che te ciapi il colera”
Raccomandazioni di mamma veneta al figlio in partenza per il Nepal
Addio lusso di partire in pantaloncini, baciati dai primi raggi dal sole. Ai 2700 m di Chame fa freddo. E non il freddo a cui si è abituati nelle case riscaldate europee. No, in questo angolo di mondo è un fastidio costante. Fa freddo quando si esce dal sacco a pelo, fa freddo quando si va in bagno, fa freddo quando si cerca di fare colazione ad una temperatura di poco sopra allo zero termico. Prosciuga le energie, soprattutto quelle del motore, l'entusiasmo e la motivazione. Quelle di Francesco, in particolare, si stanno esaurendo troppo velocemente, la sgradevole sensazione iniziale non è migliorata. Questa mattina ha tossito roba verdastra con l’aria sfatta di ossigeno rarefatto. Ha paura perché sente che si sta ammalando e se si ammala non può proseguire con gli altri il suo viaggio.
La foto di gruppo di inizio giornata, scattata dall’albergatore di Chame, mostra cinque persone coperte da tutti gli strati di vestiti possibili chiedersi “ma riuscirò ad avere un po’ di caldo oggi?”. Il menu prevede più soste cibo e meno cazzate, basta solo arrivare ai 3500 metri di Lower Pisang, poi si passerà all’ampia valle a Nord dell’Annapurna e per arrivare a Manang sarà solo questione di drittoni in fondo valle.
Poche alternative e si parte, come sempre in salita, avventurandosi tra le valli ombrose che, a causa di clima e coltivazioni diffuse di meleti, sembrano un fac-simile di una Val Venosta a cui hanno allungato le cime.
Il ritmo è più parsimonioso dei giorni precedenti, più cauto, al terzo giorno finalmente l’atteggiamento è più prudente e il passo regolare. Quasi monotono. E poi sbam, basta girarsi nei pressi di un ponte tibetano e arriva in faccia la parete est dell’Annapurna II, 7937 m di magnificenza montana sbattuti dritti nel muso di cinque viaggiatori che da giorni non aspettavano altro. Un’immagine reale del motivo per cui stanno camminando sfasati dal jet-lag da un paio di giorni. Per quello. Nient’altro che quello. Qualcosa che mai altrimenti avrebbero potuto vedere con i loro occhi: una grande montagna bella. Senza bisogno di accordarsi, la marcia si arresta, una pausa obbligata non detta, non voluta, desiderata. Gli occhi si fanno lucidi mentre fissano quell’enorme ammasso di roccia. Silenzio. Ammirare.
Per venti minuti buoni si procede sospesi dalla realtà, ancora colpiti da quel cambio di prospettiva. Sono già arrivati a percorrere 20 km che sono sembrati fin troppo facili rispetto al giorno precedente, oggi meritano di essere festeggiati con adeguata pausa. Arrivo ai 3500 m di Lower Pisang e sosta cibo.
Il Nepal non è il posto più adatto per ansiosi e frettolosi. O forse è il posto più adatto proprio per cambiare queste caratteristiche. Lo stile di vita nepalese è più rilassato e minimalista. Per noi occidentali verrebbe facile etichettarlo con un generico “povertà”, ma sarebbe un errore limitarsi a quello. Certo si nota minor disponibilità economica ma non è sufficiente a giustificare questa differenza. Sembra che ogni nepalese prima di fare qualcosa si domandi “ma devo proprio?”. Tutto deve essere affrontato con calma, moltissima calma, che le cose urgenti non sono mai importanti. Così è un affronto fare colazione prima delle 8 (ma Alessio lo ha chiesto lo stesso), è impensabile avere un pranzo pronto entro un’ora (e Alessio se ne è lamentato) o aspettarsi che se a una richiesta viene risposto “Dopo lo faccio”, quel dopo sia subito (e Alessio ha sollecitato). È per questo motivo che la sosta veloce “panino e the caldo” sta durando più di un’ora e qualcuno ne sia più spazientito.
Già, Alessio, è lui l’organizzatore, quello da cui è a partito tutto, quello che per primo ha cercato di convincere più amici possibili che andare con lui in Nepal fosse un’avventura bellissima. Tanto ci pensa lui a tutto. È il coordinatore. Ma questo viaggio è il suo, soprattutto suo. Non lo ha mai detto ma lo si intravede in ogni suo gesto. Mai lo si è visto con tale determinazione nel voler arrivare a tutti i costi, per i suoi amici è quasi spaesante quell’approccio nuovo. Alessio è venuto in Nepal per poter dire di aver fatto il trekking dell’Annapurna in sei giorni quando pochi lo ritenevano possibile, vuole dimostrare che può portare in fondo quel progetto, il suo progetto, che ce la può fare. Cammina a 3500 metri di quota su un filo sottile che lo separa dall’ossessione. Il Nepal per Alessio è un progetto da realizzare, un progetto che ha voluto tanto.
Ma la determinazione dà quanto toglie. Ti può spronare a dare di più, ma anche consumare quando le cose sfuggono dalla propria tabella. E così oggi Alessio è in difficoltà, ha una faccia sfinita che i suoi amici conoscono troppo bene. Certo, mai come Francesco che a forza di tossire germi nuovi sta alternando crisi e resurrezione con la frequenza di un diapason ad un concerto metal, ma sono due difficoltà diverse. Francesco si porta dentro sistemi immunitari da rottamare, Alessio pesi e ansie che non è dato sapere.
Da Lower Pisang a Manang sono quindici chilometri di strada dritta per dritta in cui dalla Val Venosta ci si è teletrasportati in Finlandia. Una lunga strada sterrata dove ad ogni tratto in ombra si nasconde ghiaccio e neve. Roberto e Michele proseguono convinti e rilassati, Camilla è tranquillizzata dal non essere quella più in difficoltà, ma empatizza con gli ultimi del gruppo, Alessio cerca di rallentare il ritmo globale, Francesco alterna momenti leprotto-tartaruga ogni decina di minuti. È una situazione buffa, da fuori potrebbe sembrare una gara corsa da cinque atleti con una pessima strategia; invece, stanno solo cercando di arrivare ognuno a modo suo alla meta del giorno.
Francesco scatta appena vede il paese, ma è il paese sbagliato, Roby ride, si riparte, Camilla canta con Michele, Alessio sproloquia, Francesco riscatta perché tanto vale vivere di adrenalina, Michele scappa dagli yak. Ecco Manang, quella vera, quella da cui parte la salita su sentiero vero al passo.
Entrata in albergo, sollievo nel vedere letti quasi veri e del cibo ordinabile in due ore. Domani è il giorno della grande ascesa, quella ai 5400 m, quella che spaventa ogni membro del gruppo. Ma è un problema del quarto giorno, e quando si è in viaggio si impara ad affrontare le cose quando accadono e godersi il presente, specie se il presente sono cene di gruppo con ampie risate. E una stufa calda.